il Brasile di...
estate 2018
Ci sono esperienze, e poi ci sono Esperienze. La differenza può sembrare sottile, ma in realtà si nasconde un passo lungo 13‘000 km.
E quel passo, mi ha portato in Brasile, più precisamente nel Mato Grosso del sud. Qui ho avuto l’arduo compito di intrattenere ed insegnare lo sport ai giovani ragazzi del posto durante le vacanze invernali.
Fortunatamente non ero solo, oltre ai volontari del posto che mi hanno fatto sentire a casa sin da subito, con me c’erano anche altri ragazzi, sempre torinesi, conosciuti qualche giorno prima di partire.
La prima tappa che ho fatto è stata a Campo Grande, alla scuola Delpiano che si trova dentro all’interno dell’Hospital Sao Juliao. Le nostre giornate iniziavano alle 8:00 con l’arrivo del pulmino che scaricava un sacco di bambini carichi a mille per l’inizio della giornata. Una volta raccolti tutti i bambini e ragazzi si passava al canto dell’inno in ricordo di Bruno (il fondatore del progetto del “treino de basquetebol”) e qualche ballo di gruppo che portava sempre un po’ di allegria già nelle prime ore del mattino.
Subito dopo si passava alle 5 attività: basket, calcio, volley, danza e aula. Dopo circa un’ora e mezza vi era una pausa, dove veniva fornito un pasto ricco e un succo ad ogni ragazzo. Alle 11 il pulmino veniva a riprendere i bambini per riportarli a casa, ma il nostro compito non era mica finito, già perché alle 13 arrivava la seconda ondata di ragazzi, questa volta più grandicelli. Durante le 3 settimane, i ragazzi che hanno frequentato il “treino” sono stati circa 170.
L’ultimo giorno a Campo Grande è stato il più emozionante, come ogni anno la fine del “treino” prevede il torneo di basket aperto a tutte le scuole vicine all’ospedale. Sinceramente, pensavo di aver conosciuto i bambini in tutti i loro aspetti, ma durante il torneo li ho visti trasformati, quasi irriconoscibili. Non essendoci mai stato prima qui, credevo che il torneo fosse solo una formalità per ricordare Bruno e invece tutti vogliono vincerlo, e questo rende il torneo bellissimo nonostante il livello di gioco sia basso. Dopo una giornata di grandi sfide, il torneo si conclude con le premiazioni e la scuola ad aver vinto la coppa principale è proprio la “nostra” Delpiano. Un boato di gioia impressionante è quello che ricordo quando è stato pronunciato il nome della scuola vincitrice, poco dopo la coppa era ricoperta da un centinaio di ragazzi festanti. E’ stato davvero un momento magico.
Nemmeno il tempo di rifiatare dalle fatiche di Campo Grande e mi sono ritrovato a Corumbà, una città che si trova al confine con la Bolivia. Questa vicinanza in passato ha reso questa città a tutti gli effetti un ponte per il passaggio della droga, creando la figura dello spacciatore come lavoratore modello. Per fortuna c’è anche qualcuno che in mezzo a tutto questo ha deciso di andare controcorrente, il CAIJ, una specie di oratorio, gestito anche dall’italianissimo Don Pasquale dove, tutti i giorni centinaia di ragazzi si recano qui cercando di imparare qualcosa di nuovo allontanandosi dalla strada. Per quanto mi riguarda credevo che una volta superato lo scoglio Campo Grande mi sarei trovato ad affrontare tutto con più facilità, e invece, ho dovuto praticamente ricominciare da capo, sia con i nuovi ragazzi, sia con la realtà di questa città, completamente diversa e molto più difficile. I ragazzi qui, vivono tutti i giorni a contatto con la droga e la povertà e a differenza con Campo Grande, la capitale dello stato, che proprio per il fatto di essere capitale qualche opportunità se pur minima la concede, Corumbà invece mi ha dato la cruda impressione di essere purtroppo una città senza vie d’uscita.
Ci siamo fermati solo 4 giorni, ma sono stati molto intensi e faticosi, si iniziava come sempre al mattino presto e facevamo turnare i ragazzi sia con le nostre attività sportive che con le attività programmate del CAIJ. I ragazzi sono stati più di 500, e con i pochi giorni a disposizione non sono riuscito a conoscerli bene, forse è questa l’unica pecca di questa esperienza, ma sono convinto che nonostante tutto qualcosa di buono siamo riusciti a lasciargli.
La terza e ultima tappa è stata Paraiso do Leste, un minuscolo paese sperduto in mezzo alla vegetazione del Mato Grosso, talmente sperduto che la prima strada asfaltata si trova a circa un’ora e venti di macchina mentre il primo ospedale dista addirittura due ore. A facilitare le cose però, c’è Myriam, una volontaria italiana che è un vero e proprio punto di riferimento per ogni volontario che si avventuri da queste parti e non solo, infatti la sua immagine qui è vista di buon occhio da tutti in quanto da quarant’anni vive e lavora a contatto con la gente del posto. In questi lunghi e difficili anni Miriam ha fatto molto per Paraiso, lei stessa ci ha raccontato di quanto è stato difficile vivere qui e aiutare il paese a stare al passo con i tempi e crederle non è stato difficile visto che a Paraiso non c’è veramente nulla, ma per 21 giorni ha potuto contare sul nostro aiuto.